Dato che di calcio non capite un’acca ho deciso di impartirvi una nuova lezione. È rivolta a chiunque segua il gioco del pallone ma in maniera specifica agli amici juventini, coi quali intrattengo, ormai da anni, piacevoli e divertenti scambi digital-epistolari. Non sarò per niente breve, vi avviso. Dunque ritagliatevi qualche minuto di tempo. Almeno imparate qualcosa. Mi soffermerò su quelle che amo definire Dinamiche Ripetibili. Quand’è che, in tema di calcio, una dinamica è ripetibile? Quando può riprodursi in qualsiasi contesto, al di là del tempo, del luogo e della squadra in cui si verifica. Un esempio di Dinamica Ripetibile è costituito, nel calcio, dal cambio dell’allenatore a stagione in corso. Quella di far saltare il tecnico è una pratica così diffusa che ha persino dato luogo a espressioni entrate di diritto nel nostro vocabolario. Da dove pensi origini l’ormai diffusissimo “Non mangia il panettone”? Proprio dalla malsana abitudine di cacciare il Mister prima del tempo, addirittura entro le feste di Natale. Ma perché classifichiamo l’esonero del tecnico tra le Dinamiche Ripetibili? Perché, salvo eccezioni molto rare, ovunque lo si sia messo in atto, il licenziamento dell’allenatore ha saputo rispondere a dinamiche ben precise e quindi ripetibili, anzi ripetute. La squadra va male, la piazza mugugna, i risultati non arrivano, la stampa soffia sul fuoco, la società caccia il tecnico convinta di risolvere ogni cosa, arrivano -se arrivano- due o tre partite dignitose ma poi tutto torna a sprofondare come e peggio di prima. Succede sempre così. Le occasioni in cui ci si è sottratti a questa dinamica si contano, in un secolo di calcio, sulla punta delle dita. Un ulteriore esempio di Dinamica Ripetibile coinvolge il rapporto tra società e mondo arbitrale. Quando la tua squadra vince, l’arbitro “è l’alibi dei perdenti”. Ma quando la tua squadra le busca di santa ragione entrano d’incanto in gioco fruttini, bidoni dell’immondizia al posto del cuore, teoremi persecutori e patetici you-pay di chelliniana fattezza. Accade sempre: ovunque, comunque e qualsiasi sia la società coinvolta. Certo, quando accade alla Juve fa ancor più ridere. Ma tant’è. A proposito di Juve: c’è, ed è di questi giorni, un’ulteriore Dinamica Ripetibile cui voglio dedicare qualche riflessione. È quella di chi, sazio di vittorie, decide di “dare una svolta al gioco”. Stanche di vincere in larga misura, alcune grandi società si mettono in testa -chissà perché- di conferire alla loro squadra un nuovo gioco, più divertente, più spettacolare e quindi -in teoria- più ambizioso. Cosa succede a queste squadre? Succede che, se non hanno la pazienza di attendere almeno un paio d’anni, fanno -tutte- la fine del sorcio. Te la ricordi l’Inter dei Record, quella che fagocitò 58 punti su 68? Bene. Travolgeva, quell’Inter, chiunque incontrasse sulla propria strada. Era un’Inter tetragona, rocciosa, ermetica e contropiedista, solida come le idee del suo allenatore: Giovanni Trapattoni, uno che badava al sodo. Alla faccia del calcio spettacolo. Cosa accadde a quell’Inter dopo i successi in Italia e in Coppa UEFA? Accadde che i vertici della Beneamata si misero in testa, andatosene il Trap, di cambiare identità alla squadra. Era giunta l’ora, nella mente di chi guidava la società, di voltare pagina e di portare sulla sponda nerazzurra dei navigli il cosiddetto bel gioco. Era l’estate del 1991 quando il ragionier Pellegrini annunciava l’ingaggio di Corrado Orrico, toscano di Massa, profeta del calcio spettacolo e della zona, uomo colto, che disserta di finanza e di filosofia, che legge Marx ed Hegel e che allenava i suoi facendoli correre a ritmi disumani all’interno di una gabbia. La sua Carrarese giocava un calcio mai visto; quello stesso calcio che il Maestro di Volpara, così lo definì Gianni Brera, era stato incaricato di portare a Milano. Durerà il tempo di un girone e poi, pressato dalla piazza, dall’opinione pubblica e dai risultati che non arrivavano, rassegnerà le dimissioni negli spogliatoi di San Siro dopo una sciagurata Inter-Atalanta. “Ho fallito io, non la mia idea di calcio”, dichiarerà in favore di telecamera prima di puntare l’avantreno della Porsche in direzione del Tirreno. Certi progetti hanno bisogno di tempo. O ti metti in testa di concederglielo o è meglio non imbarcarvisi.
La stessa cosa accadde alla Juventus, ove dopo 10 anni di Trapattoni, 2 di Rino Marchesi e 2 di Dino Zoff, gente che se ne infischiava dello spettacolo e che aveva elevato il “primo non prenderle” a vera e propria filosofia di vita, gli Agnelli decisero di non accontentarsi e di portare sotto la Mole il calcio champagne di Gigi Maifredi. Dopo due meravigliose stagioni col Bologna, coronate da un’indimenticabile qualificazione in Coppa UEFA, l’ex rappresentante di panettoni e di bollicine, l’omone di Lograto -3810 abitanti in provincia di Brescia- era pronto al grande salto. Dio ce ne scampi e liberi. Settimo posto, fuori dall’Europa, 10 sconfitte e 11 pareggi su 34 partite. A fine stagione non gli rinnoveranno il contratto e si rifugeranno di nuovo tra le rassicuranti braccia del figliuol prodigo Giovanni Trapattoni. Come se i germi del calcio spettacolo potessero attecchire in quattro e quattr’otto, come se simili rivoluzioni non avessero bisogno di tempo e di pazienza. Sorte simile toccherà all’Inter del post Triplete. Branca e Moratti, sazi di successi, scelsero Benitez prima e Gasperini poi. Avrebbero dovuto cambiare il gioco dei nerazzurri campioni d’Europa e poi del Mondo. Al primo diedero un girone di tempo. Al secondo quattro partite. Entrambi cacciati a pedate nel didietro. Manco avessero la bacchetta magica. Potrei poi soffermarmi su Zeman. Ma non credo ve ne sia bisogno. Dinamiche Ripetibili. Dinamiche Ripetute. Quando le grandi squadre, sazie di vittoria, si mettono in testa di darsi allo spettacolo fanno la fine del gatto in tangenziale. Il cambiamento richiede tempo. Ma le big, di tempo, non ne hanno. E non ne concedono. E allora, per venire a noi, se il gioco di Sarri non soddisfa ancora i fini palati sabaudi è solo perché quella avviata dal simpaticissimo Agnelli è una vera e propria rivoluzione che, come tale, richiederà molto tempo, almeno un paio d’anni. O glieli date, a Sarri, o fate un’inevitabile brutta fine. Lui e voi. Come chiunque altro si sia messo in testa, satollo di vittorie, di alzare l’asticella per poi tornare in fretta da dov’era venuto, nel solco appunto delle Dinamiche Ripetibili. Pensavate davvero di trasformarvi nel Barcellona de noantri in giusto 3 mesi? Credevate davvero che a Maurizio Sarri bastasse un bacio per trasformarvi nel principe azzurro, piccoli brutti rospi? Se sì, allora ho ragione io: di calcio, voi come tanti altri, non capite un bel niente. Meno male che ci sono io a regalarvi pillole di storia e di competenza. Ve le do gratis, ancora una volta. Ché a farvele pagare mi parrebbe di speculare sulle disgrazie altrui. Per come sono fatto, non me lo saprei perdonare.